Il tratto da Pordenone a Casarsa fu aperto il 16 ottobre. La sua realizzazione creò alcuni seri problemi tecnici. Il primo fu quello della bassura del Noncello, immediatamente a sud della stazione, per il superamento della quale fu costruito un terrapieno, altro oltre 11 metri, con un ardito ponte in pietra sul fiume a tre sottopassi, tuttora esistenti (via Cappuccini per Rorai Grande, via delle Grazie per Valle e Noncello, via Nuova di Corva per Azzano Decimo e Portogruaro). La costruzione del terrapieno, dividendo in due il territorio comunale, se risolse i problemi ai tecnici della ferrovia, invece ne creò, e molti, agli amministratori di Pordenone, condizionando un equilibrato sviluppo urbano. In compenso l'arrivo della ferrovia permise la sistemazione all'intera area ad ovest del vecchio nucleo storico. Dalla piazzetta davanti all'antica Porta trevisana o de sora venne tracciata una strada di collegamento con la stazione (l'attuale via Mazzini), mentre l'area fra il terrapieno della ferrovia, l'antico portello dei Cappuccini (ora via Gorizia) e il Noncello venne sistemata dapprima a foro boario (il mercato del bestiame) e successivamente a giardino pubblico. Nei lavori della ferrovia verso Casarsa un altro problema fu creato dal ponte sul Meduna. Nel 1821 sulla nuova Strada postale che mette in Germania il vecchio ponte in legno sul fiume Meduna era stato sostituito da un ponte in pietra, secondo Vendramino Candiani uno dei più notevoli d'Italia: alto 11 metri, largo 7, lungo 233, con otto archi. Dovendo costruire un ponte sul Meduna per la nuova ferrovia, si pensò di utilizzare quel ponte sia per la strada che per la ferrovia. Alla prova pratica, tuttavia, questa pasticciata soluzione si rivelò impraticabile. Il vecchio ponte in pietra restò alla ferrovia, mentre per la strada ne venne costruito un secondo. Anche il ponte sul Tagliamento, nella tratta da Casarsa a Udine, con i suoi 823 metri di lunghezza per attraversare l'alveo tutto di ghiaioni, ma soprattutto per le ricorrenti piene, creò parecchi problemi e la linea venne completata solo nel 1860. Tutta la ferrovia da Treviso a Udine, pur essendo stata programmata per il doppio binario, venne realizzata, per ragioni militari, ad un solo binario. Anche dopo l'annessione del Veneto all'Italia, nel 1866, la situazione non cambiò ed anzi l'anno successivo, con il trattato di pace fra Italia e Austria, venne stabilito che tutte le linee ferroviarie fossero ad un solo binario fino a 50 km dal confine, che allora era a Pontebba. Da udine a Pontebba la ferrovia venne realizzata a tappe successive: fino a Gemona il 15 novembre 1875, da Gemona a stazione della Carnia l'anno successivo, fino a Chiusaforte nel marzo del 1878 e da qui a Pontebba nel luglio dello stesso anno. Sempre con la limitazione del binario unico, la ferrovia Pontebbana proseguì fino a Tarvisio nell'ottobre 1879, raccordandosi con la rete austriaca. Negli anni fino al 1900 nella regione venne realizzata, con una serie di ferrovie intermedie, una fitta rete di strade ferrate. In questa sede ci limitiamo a citare quelle che hanno interessato il territorio del Friuli occidentale. La principale fu la Ferrovia trasversale alta, completata fra il 1858 e il 1860, che da Nebresina (l'attuale Aurisina) collegava Trieste con Udine e da qui verso nord con la Villach-Vienna e verso sud-ovest con la Pordenone-Treviso-Venezia, mentre da Gorizia, nel 1903 vi convergevano la linea da Jessenice a Salisburgo attraverso il traforo dei Tauri e da qui si collegava alla rete ferroviaria tedesca. S. Vito al Tagliamento, esclusa nel 1852 dal tracciato definitivo della ferrovia Veneto-Illirica, ebbe comunque la sua stazione ferroviaria, con la costruzione prima della Portogruaro-Casarsa, aperta il 19 agosto 1888, successivamente della Motta di Livenza-S. Vito, entrata in esercizio il 30 giugno 1913. Ancora nel 1969 sulle due linee transitavano in media rispettivamente 10 e 8 treni al giorno. La linea Casarsa-Pinzano-Gemona, di 50 km, venne realizzata in tre tratte: fino a Spilimbergo il 12 gennaio 1893, da qui a Pinzano il 16 gennaio 1912 e infine fino a Gemona nel novembre 1914, quando le nubi minacciose della prima guerra mondiale si stavano addensando anche sulle nostre terre. Infine, in ordine di tempo, citiamo la ferrovia Pedemontana, da Sacile a Pinzano per Maniago, voluta per ragioni strategiche anche dagli alti comandi militari che, iniziata prima del 1914 e ripresa dopo la guerra, fu completata solo nel 1930. La Venezia-Pordenone-Udine, gestita fino al 1905 da varie società private e poi, con la statalizzazione dell'intera rete italiana, delle Ferrovie dello Stato, durante la prima guerra mondiale già dal 1917 fu riservata ad esclusivi usi militari, anche se era tollerato il servizio civile di viaggiatori e merci. Dopo Caporetto, fino al Piave vi circolarono esclusivamente tradotte per la truppa e treni merci dell'esercito austroungarico. Si calcola che nei mesi di guerra vi transitavano fino a 300 convogli al giorno.
e le note vengono aggiornate di quando in quando)
sabato 3 gennaio 2015
La via alta (terza parte)
Si conclude con questa terza parte la pubblicazione del saggio tratto dalla rivista "Eventi", del maggio 2005. Per chi si fosse perso le puntate precedenti non farò un breve riassunto, come si usa nelle telenovelas più à la page, ma, ad evitare affannose ricerche sugl'indici e sfruttando le potenzialità dell'ipertesto, ne fornirò di seguito i relativi link. Volendo andare al principio della storia potrete quindi conoscere le origini del progetto, mentre nella seconda puntata avrete modo di deliziarvi leggendo di un interessante episodio, atto a suscitare attualissime riflessioni. Rileggendo quest'ultima parte dell'articolo non si può fare a meno di esser presi da sconforto, a pensare come tanto entusiasmo creatore sia stato poi dilapidato da indegni successori. In nome di un capitalismo di rapina, incapace a vedere più in là della punta del proprio naso, da anni ormai assistiamo a una demolizione della rete secondaria delle ferrovie. Rami secchi, li chiamano. Per favorire viaggi sempre più rapidi e costosi, facendo una demente concorrenza agli aereoplani, si sventrano vallate, si spianano montagne, si traforano le viscere cittadine. L'alta velocità, come ai tempi di Marinetti, entusiasma illuminati manager del progresso e politici dallo spessore sempre meno evidente. Quelle che potrebbero essere delle efficienti vie di comunicazione, percorse da mezzi poco inquinanti ed economici, funzionali al trasporto di materiali e persone lungo una rete capillare già esistente, che ci è stata lasciata in eredità da ben più lungimiranti pianificatori, vengono lasciate nel più completo abbandono, assieme a tutti i potenziali utenti.
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