e le note vengono aggiornate di quando in quando)
martedì 1 gennaio 2019
Il legnaiolo e la centrale a biomassa
Per principiare bene l’anno, con questo post che è il numero 400 della serie e rappresenta di per sé un traguardo significativo, faremo ancora appello alla memoria, dove riposano le storie di vita vissuta. La mia esperienza professionale, per quanto breve, mi ha portato a riconoscere la grande intraprendenza degli imprenditori veneti. Parliamo più precisamente della Marca Trevigiana, anzi, per non indulgere al campanilismo, ci limiteremo alla Sinistra Piave. Il dinamismo, l’inventiva, la spregiudicatezza a volte, che caratterizza, nella media, l’imprenditoria trevigiana rende improponibile ogni confronto con i ben più … "riflessivi" colleghi della Destra Tagliamento. Era il 2005 e un piccolo imprenditore che svolgeva con discreta soddisfazione la sua attività di importazione e commercio di pellet e legname venne in banca a illustrarci una sua idea. Voleva realizzare una centrale a biomassa. La materia prima non era un problema. La sua pluriennale esperienza gli garantiva solidi contatti con i paesi dell’Europa orientale, da cui importava abitualmente il legname. Il business della centrale a biomassa era rappresentato a suo dire dalla compravendita dei “certificati verdi”, di cui esisteva un mercato secondario ancora agli inizi ma che prometteva lucrose transazioni. L’intraprendente legnaiolo aveva raccolto le informazioni e fatto i suoi conti. Si era anche procurato il terreno su cui realizzare l’impianto, situato in posizione strategica in prossimità del confine e a poca distanza dall’uscita autostradale. Ci rivelò le cifre: per costruire la centrale occorrevano 70 milioni di euro. Nel giro di pochi giorni riuscimmo a dargli una risposta positiva. Per finanziare un’operazione di quella portata la Banca aveva una struttura dedicata, che esaminata sommariamente la proposta si era dichiarata disponibile a intervenire in questi termini: la Banca avrebbe coperto il 70% dell’investimento (ovvero 50 milioni di euro); il rimanente 30% doveva mettercelo l’imprenditore. ”E mi dove vao trovarli 20 milioni de euro?” Gli suggerimmo di cercare dei soci finanziatori da coinvolgere nell’impresa. ”Eh, ma cussì go da divider i utili. No, no, l’idea xe mia e la porto vanti mi.” Nelle settimane successive l’ingegnoso capitano d'industria rivide più volte il proprio business plan e corresse le cifre. Alla fine, ricorrendo a impianti usati, che costavano meno ma avevano comunque una buona resa, limando a destra e a manca, la somma si ridusse a 20 milioni. Occorreva però sempre trovare la propria parte. Ora si parlava di 6 milioni, un obiettivo più a portata di mano, ma pur sempre impegnativo. ”Ma mi ghe meto la tera!” Si riferiva al terreno confinario, comprato a debito, sul quale gravava un nostro mutuo di recente erogazione. Ancora non c’eravamo. Deluso dalle nostre risposte ma ben deciso a non lasciarsi sfuggire l’affare, il tenace nordestino si rivolse allora ai mercati finanziari statunitensi. Aveva trovato un fondo americano disponibile a sostenere finanziariamente l’investimento e si organizzò per la trasvolata oceanica, con traduttrice al seguito, al fine di definire de visu l’operazione. Quando venne a trovarci, qualche tempo dopo, gli chiedemmo come fosse andato l’incontro coi mericani. Gli avevano chiesto 300 mila dollari per la due diligence, ovvero lo studio preliminare di fattibilità. Insomma, prima di esaminare le carte i mericani volevano vedere i verdoni e lui li aveva mandati a quel paese. Inutile aggiungere che l'ambizioso progetto del legnaiolo trevigiano non vide mai la luce e rimase una bella idea un po' troppo campata in aria. Come quella del tizio che voleva comprare un dirigibile: lo avrebbe fatto stazionare sopra gli stadi di calcio durante le partite per fare pubblicità, ricavandone un sicuro guadagno. Ma questa è un'altra storia...
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