(dove il viaggio non segue soltanto un itinerario terrestre
e le note vengono aggiornate di quando in quando)

venerdì 31 ottobre 2014

Sant'Anna di Stazzema


Ha ragione Paolo Rumiz, quando sostiene che il nostro Paese è attraversato da un reticolo fitto di strade secondarie, che si snodano sinuose carezzando i rilievi, ed è lungo questi percorsi che si scopre l'Italia più genuina, non attraverso i rettilinei autostradali. La conoscenza segue la via più lenta. Per andare a Sant'Anna di Stazzema, da Lucca percorro la Strada Provinciale n. 1, una sinusoide dal fondo spesso malandato che attraversa i borghi minori della Lucchesia. Il museo dell'eccidio trova posto nella scuola elementare del paese e dà subito un'impressione di abbandono. Durante la visita, un inquietante ronzio rivela che nelle sale del piano superiore si agitano, imprigionate, nugoli di mosche. Per ridurne la densità si potrebbe provare ad aprire le finestre, di tanto in tanto. I supporti multimediali di recente inaugurazione giacciono muti et orbi. Un biglietto scritto a mano e appiccicato su una delle millantate meraviglie tecnologiche avvisa che si sta attendendo l'intervento della ditta incaricata della manutenzione. Chissà a quando risale... Fortuna vuole che nell'edificio oggi c'è Enrico, uno dei pochi sopravvissuti. All'epoca della strage era un bimbetto di diec'anni. Oggi ne ha ottanta. Nella sala conferenze racconta la propria storia a un gruppo di ragazzi in visita da Firenze. Si direbbero studenti delle superiori, ma invece si tratta di ragazzi che fanno il servizio civile. Enrico è stato ricevuto dal presidente Giorgio Napolitano, che gli ha chiesto di scrivere una lettera al suo omologo tedesco, per invitarlo a Sant'Anna. Uno dei giovani la legge:
Caro Presidente,
mi chiamo Enrico Pieri e sono nato a Sant'Anna di Stazzema il 19 aprile 1934. Il 12 agosto 1944 avevo 10 anni, quando i reparti del XVI Battaglione Panzergranadier delle SS salirono nel paese dove vivevo con la mia famiglia. Quel giorno l'odio degli uomini portò via mio padre, mia madre, le mie due sorelle e i miei nonni. Tutti morti nell'eccidio. Mi sono salvato per miracolo nascondendomi in un ripostiglio della casa dei nostri vicini (…) Nel 1992, una volta in pensione, sono tornato in Italia, dove prima venivo solo due volte l'anno per rendere omaggio ai miei morti. Mi chiesero di collaborare alla formazione del Museo di Sant'Anna di Stazzema e all'inizio rifiutai, perché parlare della mia esperienza era ogni volta rinnovare quel dolore. Poi, mi resi conto che questi ragazzi hanno bisogno di sentire queste storie, da noi che le abbiamo vissute, per conoscere e non ripetere quegli sbagli. Oggi ricevo, ogni anno, centinaia di gruppi di giovani e sono presidente dell'Associazione Martiri di Sant'Anna di Stazzema, che raccoglie i superstiti e i parenti delle vittime e quasi giornalmente faccio conoscere la mia storia ai ragazzi che sempre più numerosi salgono a Sant'Anna di Stazzema. Anzi, devo essere sincero, mi succede che se sono giù di morale, stare una mattinata con i ragazzi mi rincuora un po'. (…)
Si proietta poi un bel documentario prodotto dalla RAI, che alterna le testimonianze di alcuni sopravvissuti a ricostruzioni in stile fiction. Davvero ben fatto. La ragazza del bookshop mi informa che il video è disponibile anche su youtube. Percorrendo una via crucis in salita si giunge al sacrario belvedere, dal quale si vedono i rilievi delle Apuane, da un lato, e il mare, più in basso. Un gruppo di pensionati bergamaschi rallenta la discesa. Si pranza a La Culla, sei chilometri più in basso. Trattoria da Luciano. Pasto semplice in un borgo suggestivo, con vista mozzafiato, in compagnia di sette giovani agenti assicurativi gasatissimi e proattivi.

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