(dove il viaggio non segue soltanto un itinerario terrestre
e le note vengono aggiornate di quando in quando)

martedì 18 maggio 2010

La Otto (parte terza)

Antonio era il Capocassiere. L'unico a chiamare per nome il D. e a dargli del tu, forte di una consolidata amicizia maturata nel corso della loro pluriennale colleganza. In rare occasioni non mancava nemmeno di lasciarsi sfuggire al suo indirizzo anche qualche garbato vaff... Esempio di dialogo. Il D.: “Anto', stanotte nun m'è riuscito proprio de pijà sonno. Ieri so' stato da mi' fija, no? Ce semo fatti 'na magnata! Abbacchio c' 'e patate. De notte, però, 'st'impunito nun voleva 'nnà né su né giù... Manco cor bicarbonato!” Governator di tutte le Mazzette, Signore dei flussi monetari, Supremo Quadratore, Gran Sacerdote del Tempio di Cristallo, il Capocassiere celebrava i suoi riti misterici rinchiuso in una teca trasparente a cui i comuni mortali non erano ammessi. Quando gli dissero che arrivavo dal Friuli, Antonio ci tenne a farmi sapere che lui ci aveva fatto il militare, dalle mie parti. “A Casarsa d' 'a Delizzia”, precisò con una punta d'orgoglio. Soffriva di una malattia professionale comune a tutti i cassieri. Una rara forma di daltonismo che consentiva di riconoscere soltanto due colori: il giallo e il verde. In quell'età dell'oro predigitale i Valori potevano transitare dal Tempio di Cristallo soltanto se avevano le carte in regola. E questo valeva tanto per le entrate che per le uscite. Il Mandato era una sorta di green card alla rovescia, indispensabile lasciapassare per i quattrini in partenza. La Reversale, invece, costituiva l'unico prezioso salvacondotto dorato che consentiva l'accesso al Sacro Tempio. L'avvento del computer segnò per gli uomini come Antonio una svolta radicale. Gli emissari provenienti dal Monolite della Megadirezione Centrale sostenevano che con questa traumatica novità finalmente avrebbero fatto uscire i Bramini dai loro monasteri. A completare la prima linea difensiva c'era Carlo, un pesce fuor d'acqua, persona mite e posata che davvero pareva fuori posto in quel caleidoscopico mosaico. La Guarnigione aveva anche un Vicedirettore, per tratteggiare il quale saranno sufficienti poche note. Somigliava in tutto e per tutto alla caricatura che Giorgio Forattini dedicò a un fugace ministro della Repubblica, rappresentato nelle sue vignette con una faccia trasparente contornata da barba e capelli: inconsistente. Fabietto era il più giovane della compagnia ed era stato amabilmente soprannominato “Frocetto” per via delle maniere aggraziate con cui si rivolgeva alle torme di verdurai che ogni giorno di là dagli spalti cingevano d'assedio il nostro scalcagnato Forte Coraggio. Fra i riti della quadratura pomeridiana, oltre all'inno già ricordato, c'era “lo spoglio der frocetto”, che consisteva nel calare i calzoni alla giovane mascotte, lasciandola vagare in mutande fino al termine della giornata lavorativa. Quando arrivavo in una nuova filiale, per prima cosa venivo accompagnato a conoscere ogni Collaboratore e a ciascuno di loro venivo presentato, giusto perché si sapesse che quello sconosciuto che si aggirava per i corridoi non era un intruso. La bella abitudine, che col passare degli anni andò irrimediabilmente perduta, mi lasciava, al termine del giro, frastornato. Non c'era verso che mi ricordassi anche uno solo dei nomi che mi erano stati annunciati. Le facce, raramente. Così, poteva accadere che nei primi giorni mi trovassi in situazioni per me non prive di un certo imbarazzo. Come quella volta che, al termine della pausa meridiana, suonai alla porta dell'Agenzia perché mi facessero rientrare. Mi si affiancò un distinto signore con una cartella portadocumenti sotto al braccio, che dava segno di voler entrare assieme a me. Non essendo in grado di riconoscerlo come uno dei miei nuovi colleghi e siccome a quell'ora non era ancora consentito l'accesso al pubblico, quando fummo nella bussola di entrata provai a verificare: “Mi scusi, lei è un collega?” E lui, di rimando: “Eh, non lo so: lei è notaio?” (continua...)





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