(dove il viaggio non segue soltanto un itinerario terrestre
e le note vengono aggiornate di quando in quando)

lunedì 31 maggio 2010

La Otto (parte quarta)

Alla Otto avevo individuato soltanto due ragazze. Di Mirellina ho già riferito. Oltre a lei, della banda faceva parte anche Maria Grazia. Così, quando sentii il D. chiamare con insistenza (come era solito fare): “Lisa! Lisa! Aho', qualcuno sa 'ndo sta Lisa?” provai a individuare anch'io dove si nascondesse questa terza fanciulla sfuggita al mio sommario censimento. “Lisa! Lisa! Marco Lisa! A Ma'... te possino!” Ecco. L'aveva trovato. E io con lui. Lisa era il Capufficio. “Er roscio maledetto” (come si sarà capito nell'attribuzione dei nickname la fantasia di quegli allegri compari non aveva freni). Marco e Alberto Sordi erano, come direbbe Andrea Camilleri, 'na stampa e 'na figura. Un sosia quasi perfetto, preciso 'ntifico, se si eccettua il colore dei capelli. Come ogni Capufficio che si rispetti, Lisa era fatto oggetto di pressanti attenzioni da parte di tutta la Guarnigione e il suo cognome risuonava ogni giorno ripetutamente tra le mura del Fortino. Il Direttore. Figura mitica, uomo d'altri tempi, cresciuto facendo la gavetta e salendo uno ad uno tutti i gradini che l'avrebbero portato alla cattedra direzionale. Quando voleva ottenere una cosa, riusciva ad essere sempre particolarmente persuasivo. A quei tempi le aste BOT erano quindicinali e i BOT people più numerosi delle schiere angeliche. Ogni due settimane, quindi, l'appuntamento con le prenotazioni da inserire a terminale era vissuto come un incubo per la mole di lavoro e la scadenza perentoria. Così, una di quelle sere, arrivate le cinque mi apprestavo ad uscire per andare a non so più quale appuntamento. La pila degli ordini di prenotazione per l'asta dell'indomani incuteva apprensione, ma occorreva smaltirla. Sottoposto il problema al D., quello si guarda intorno e conclude: “Nun c'è problema. Ce pensa Aurelio. Aure', vero che te poi fermà 'n pochetto?” E io: “Ma', veramente no, avrei un impegno.” Interviene anche Lisa a darmi man forte, insieme a Lillo e all'operatore di borsa: “Diretto', ha detto che nun po'”. “No, no, ha detto che se ferma, vero, Aure'? Te fermi, vero? Te poi fermà, no? Aure', dài, che ce vole poco. Ecco, ha detto che se ferma. Te fermi, Aure'? Ha detto de sì. Ecco.” Problema risolto.
Un pomeriggio di una giornata lavorativa qualsiasi vedo un anziano signore in salone che si avvicina al bancone e vi appoggia la sua valigetta ventiquattrore. Poi la apre e ne estrae qualcosa che lancia verso di noi. Immaginavo si trattasse di una distinta di versamento accartocciata con rabbia per averne sbagliato la compilazione. Ma quando noto che i lanci non cessano e si cominciano a udire le urla preoccupate di Lisa, capisco che c'è qualcosa che non va. All'interno della valigetta era custodito un intero cartone di uova, dal quale il dispettoso vecchietto attingeva per bersagliarci. Riuscii a scansare fortunosamente uno di quei proietti, che mi macchiò una scarpa. Fu il D. a intervenire, con la sua autorevolezza, ma soprattutto con la sua prestanza fisica, per bloccare la gragnuola di colpi e stendere sul pavimento un po' di segatura in attesa che arrivasse un commesso per una prima sommaria pulizia del locale. Scoprimmo poi che il vecchietto aveva tutte le ragioni per protestare in quella forma tanto inusuale, che peraltro egli andava replicando anche negli altri sportelli della piazza. A supporto del suo gesto usava lasciare un dossier di fotocopie che, fra ritagli di giornali, copie di lettere e di documenti vari, illustrava in dettaglio le sue sfortunatissime vicende umane, in cui la Banca aveva giocato un ruolo tutt'altro che marginale. C'era di mezzo una fusione d'istituti e dei certificati azionari posti a garanzia di affidamenti, che furono persi nel trasloco degli uffici mentre lui si trovava all'estero. Vicenda kafkiana, che l'aveva portato alla bancarotta e in carcere, salvo poi sentirsi dire, a distanza di anni, che le azioni erano state ritrovate...
Insomma, i miei giorni alla Otto sono stati fondamentale palestra di vita e di mestiere, che a distanza di qualche lustro ricordo ancora con malinconia. Al momento di congedarmi, lasciai per ultimo il Direttore, sempre impegnatissimo in mille faccende. Feci irruzione nel suo ufficio per un veloce saluto mentre ancora stava discutendo con un cliente, ma, congedando il suo interlocutore, il D. mi afferrò il polso stringendo con forza: “Aspetta, Aure'”. “Perdo il treno, direttore”. “Aspetta!”. E quando il cliente se ne fu andato mi stritolò in un abbraccio commosso che pareva non volermi più lasciare andar via.



APPENDICE.

Lamento alla fermata del bus nella canicola di una sera romana.

Dio del ciel, s'io fossi un orso bianco
ora sarei laggiù, al Polo Sud.
Dove, tra foche e trichechi,
coi piedi a bagnomaria,
alfin l'ascelle umide non avria.
Suda, colletto bianco suda.
Diglielo tu, a quelli là.
Digli che non porti i bermuda,
e a lavorar, sudi anche tu.





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