La percentuale di reddito risparmiata da coloro che accantonano sempre qualcosa, invece, non ha mai fatto segnare importanti flessioni e risulta costantemente in crescita. Questo fenomeno è spiegabile con il fatto che chi ha avuto, anche durante la crisi, risorse più che sufficienti a sostenere il tenore di vita corrente, ha anche provveduto ad alimentare il proprio risparmio, probabilmente temendo che la crisi avrebbe prima o poi potuto raggiungerlo. Se lʼindicatore di risparmio più direttamente connesso allo stato dellʼeconomia è la percentuale di risparmiatori, questa raggiunse il minimo del 39 per cento del campione (fatto che comporta che i non risparmiatori fossero ben il 61 per cento degli intervistati) nei due anni 2012 e 2013, mostrando dunque unʼelevata sincronia con la congiuntura economica generale dellʼItalia. Dal 2014 incomincia una lenta risalita della quota di risparmiatori, che accelera decisamente negli ultimi due anni e passa prima dal 43 al 47 per cento (tra il 2017 e il 2018) e quindi dal 47 al 52 per cento del campione (tra il 2018 e il 2019). Con la quota dei risparmiatori che torna finalmente a superare quella dei non risparmiatori (52 a 48), il 2019 segna il massimo storico dei risparmiatori dallʼinizio della crisi.Che gli italiani fossero un popolo di formiche risparmiatrici si sapeva. Così com’è certo che per trovare molte delle nostre formichine, bisogna entrare negli ospizi, proprio quelle case di riposo oggi tanto duramente colpite dall’epidemia in corso, dove si trovano ancora persone che hanno vissuto sulla propria pelle i rigori di crisi passate. Gli ultimi dati a livello nazionale che la Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo mette a disposizione sono aggiornati al 2018 e riferiscono che i soli depositi bancari degli italiani ammontano a 1 milione e 257 mila milioni di euro, in aumento del 7,5% rispetto al 2016 (in Friuli Venezia Giulia la percentuale sale al 9,3).
La zia Maria sosteneva, con grande senso pratico, che degli abiti di uso quotidiano, tipo la gonna o le vestaglie (i camici da lavoro delle casalinghe) bisognava averne tre di ognuno: uno indosso, uno nella lavatrice e il terzo in t’al armèr. E non di rado bisognava farseli bastare, perché non è che ci fosse di che scialacquare nel rinnovo del guardaroba. Teneva sempre una mela nella tasca del gurmàl, così che se non le avanzava il tempo per pranzare, qualche morso le avrebbe consentito di arrivare fino a sera. Si può dire che le sue case le abbia letteralmente costruite da sé, dato che durante i lavori anche lei impastava il cemento e trasportava mattoni con la carriola. Mia madre invece è quella che acquistava soltanto lampadine da 40W anche per illuminare la cucina. Di quelle del lampadario a sei bracci che illuminava il soggiorno, 3 erano sempre allentate, in maniera che non consumassero (“tanto tre lampadine sono sufficienti”). Stirava soltanto la domenica “perché la luce costa meno” (s’intende l’elettricità). Le nostre telefonate duravano mediamente 3 minuti soltanto perché ero io a tirarla per le lunghe, che se fosse stato per lei: ciao, tutto bene? sì, come stai? tutto bene. va bene, allora ciao. “Perché il telefono costa e non occorre che mi chiami ogni settimana per sapere come sto, tanto ci vediamo sabato”. Quando per il suo compleanno o per una ricorrenza le portavo in regalo una bambola (non avendone avute da bambina, aveva preso ad acquistarne, di tanto in tanto, in età matura), un dolce, un mazzo di fiori, una sciarpa o un foulard, dopo avermi ringraziato, vincendo l’imbarazzo non mancava di rimproverarmi, che “non serviva” e “non occorre spendere tutti questi soldi e sprecare così”. In occasione del mio viaggio a Parigi, sul banco di alcuni ambulanti marocchini che trovai al mercato di Belleville le acquistai un’elegante djellaba rosso fiammante, che non le ho mai visto indossare “perché non è un vestito per me”. Quando sento parlare di “decrescita felice”, penso che a casa nostra non c’è mai stata una “crescita dissennata”. Da noi la sobrietà si succhia col latte materno fin dalla culla.
Dalla sua rendita mensile (aumentata a 800 euro da quando le è stata riconosciuta la “reversibilità” di mio padre), la mamma prelevava 300 euro, 150 dei quali venivano consegnati a me, che pagavo le bollette e mi occupavo della “spesa grossa” settimanale. Non c’è mai stato verso di convincerle, tutte e due le nostre Cassandre, che non era il caso di presentarsi all’ufficio postale il primo del mese per controllare che i soldi fossero stati accreditati sul libretto e che nessuno mai gli avrebbe portato via la pensione. Entrambe non sono mai andate in vacanza e ogni loro viaggio era giustificato soltanto dal bisogno di trovar lavoro, in Italia o all’estero. Per mia madre fanno eccezione alcuni soggiorni durante il fine settimana, quando all’inizio della mia carriera lavorativa venne a farmi visita a Genova, Roma e Parma, ma anche questi viaggi si possono ricomprendere nella categoria delle “missioni di servizio”, dato che il suo solo scopo era di verificare come mi fossi sistemato in città. Facevano a gara nello spalleggiarsi, quando decidevano di motivare la loro diffidenza, e il disappunto, se c’era da commentare qualche notizia che suscitava il loro scandalo: Te vedarà ben, un dì o l’altre, s’a no vegn la fin del mont! (dove con l’espressione “la fin del mont" non s’intende letteralmente “la fine del mondo”, ma ci si riferisce genericamente a una catastrofe, rivoluzione, cambiamento epocale, ma anche soltanto a un brutto temporale). Te vedarà, mo, s’a no torna la miseria e la fam! Cussì e finirè da core in giro coma matusièi! E noi ci scambiavamo furtivi cenni d’intesa, trattenendo a stento le risate. Ora che il Morbo infuria e mezzo mondo è chiuso in casa, mentre si va facendo sempre più forte la convinzione che “nulla potrà più essere come prima”, non ridiamo più tanto nemmeno noi.
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